- Views 0
- Likes 4
È impossibile stare al mondo senza che il nostro organismo venga colpito. Ritrovare il contatto con il corpo coltivando l’attitudine al “sentir-si” è uno degli obiettivi della Consulenza Filosofica.
di Francesca Guercio
Siamo al mondo prima di tutto con il nostro corpo.
Tanto che filosofo francese Jules Lachelier (1832-1918), come ricordato da Merleau-Ponty nel celebre Fenomenologia della percezione, definiva il corpo «in verità una provincia del mondo».
Il fatto che talora tendiamo a privilegiare le, peraltro sublimi, potenzialità della mente può forse distrarci da questo dato sicuro ma non confutarlo.
La lunga tradizione di quella branca della medicina interessata alle connessioni tra disturbi fisici e processi interiori perfeziona l’intuizione che, in Occidente, fu di Ippocrate. A mettere in luce la limitatezza dell’approccio positivista molto contribuì la riflessione medico-filosofica di Viktor von Weizsäcker (1886-1956). Destinato a scardinare la presunzione di quanti intendano prestare ascolto unicamente alla componente fisica della malattia. Le dottrine di von Weizsäcker condussero il suo allievo Alexander Mitscherlich alla fondazione di una cattedra di Medicina Psicosomatica a Heidelberg. Aprendo così la via delle moderne “antropologia medica” e “antropologia della malattia”.
Consulenza Filosofica e piacere della corporeità
La consapevolezza delle relazioni tra le dimensioni corporea, mentale, animica ed emotiva che costituiscono ciò che chiamiamo Io, facilita l’integrità del nostro quotidiano essere.
Il contributo della Consulenza Filosofica risulta particolarmente significativo per quanti desiderino accedere a una relazione piena e sana con il corpo. La radicata, generosa tradizione filosofica orientata all’osservazione e alla lettura dell’esperienza fisica della nostra presenza al mondo apre la strada a un’appartenenza dinamica e originale.
Intanto, la cognizione pregnante circa l’esclusività individuale dell’avventura proprio-corporea è sorgente inesauribile di sollecitazioni verso un’attenzione a sé che con il tempo diventa habitus salutare. Conducendo a un tipo di “avvertenza” delle personali struttura organica e percezioni sensoriali, tale da consentirci di analizzare con puntualità le connessioni psicosomatiche. Mantenendo vigile lo sguardo sulla relazione con noi stessi e con noi nell’interazione con l’Altro da noi: ambiente, individui, fatti, circostanze, tempo…
Dal Me all’Io e ritorno. In(d)izio di psicosomatica
Theodor Lipps (1851-1914), filosofo fondatore del concetto contemporaneo di empatia, ricordava che per aprirci alla «conoscenza degli altri Io» è necessario intendere che sappiamo immediatamente solo di noi.
Scrive:
L’io di cui so originariamente è […] semplicemente l’“io” inteso come pronome personale e non come sostantivo. L’io diviene il “mio” io, “questo” io, “un” io, in breve un io individuale, soltanto quando alla mia coscienza si presentano altri io.
Coordinate incontrovertibili per un’indagine del sé che tenga conto saldamente del presentimento individuale, di quello del mondo sensibile e di quello attinente all’aspetto sistemico. Ciò che si rivela basilare per l’auto-comprensione delle insorgenze psicosomatiche.
Sulla scia di questa intuizione possiamo situare la tesi formulata nel 1986 da Gernot Böhme (1937) circa il fatto che, «come radice della soggettività» il “mi” sia «più fondamentale dell’io».
Uomo: un intero «il cui insieme non è come un ammasso»
Interessato di estetica e di antropologia filosofica, Böhme dedica buona parte della propria opera all’esame delle sensazioni di cui ciascuno fa esperienza nella percezione. Piacere o spavento, disgusto, amore, odio ci allontanano o ci avvicinano all’altro-da-noi; calati, come sempre siamo, in «situazione affettiva».
Guardando all’uomo da una prospettiva olistica il percorso di rilevazione critica delle commessure tra le parti che lo compongono trova una sua eccellente formulazione in un contesto sorprendente. È infatti Aristotele nella Metafisica (Libro H, 1045, 8-10) a suggerire la sostanziale differenza tra totalità e intero.
Infatti, di tutte le cose che hanno molte parti, e il cui insieme non è come un ammasso e il cui intero è qualcosa di più delle parti, c’è una causa <dell’unità>.
L’intero del soggetto, la sua complessa compattezza, non è un ammasso bensì un organismo; un sistema nel quale le parti sono in reciproca relazione.
Cenestesi: il senso di sé tra benessere e malessere
È, questa caratteristica, l’incomparabile privilegio e l’estremo limite di ogni singolarità. La ragione per cui, in circostanze identiche, alcuni individui si ammalano mentre altri fronteggiano le affezioni.
O protocolli di cura standard non sortiscono i medesimi effetti su persone differenti.
Poniamoci allora in attento e sincero ascolto dell’intima «situazione affettiva» che ci riguarda: sarà difficile esimerci dal riconoscere quanto spesso siamo, ciascuno per sé, altro-da-sé. E quanto, dunque, in termini böhmeiani, l’«elemento patico» sia la cartina al tornasole del nostro coinvolgimento in qualcosa.
Scrive, efficacemente, il filosofo tedesco:
È infatti nel coinvolgimento e solo in esso che io sono insostituibile. Nelle mie azioni altri mi possono sostituire, ma non in ciò che mi accade e patisco.
Terminazioni nervose dislocate nei visceri e in altri organi ci garantiscono un’autocoscienza corporea che viene dall’interno.
Si tratta di quel senso di sé cui si dà nome di cenestesi.
Trovare noi stessi attraverso il corpo
Abitualmente non chiaro alla coscienza salvo che in momenti di particolare benessere o di sofferenza. Secondo quella che già Heidegger in Essere e tempo descriveva come una «tonalità emotiva» che ci rende possibile «dirigersi verso».
Immersi come siamo nell’ambiente per tramite del nostro corpo è impossibile che la componente fisica dell’“intero” (ὅλος– hòlos) sistema non venga colpita e percossa.
Perciò essa è scaturigine di emozioni e pensieri nonché strumento attraverso il quale ci “dirigiamo verso” o, eventualmente, ci “distanziamo da”. Conquistando o sbaragliando la nostra… provincia del mondo.
Merleau-Ponty, ineffabile filosofo del corpo, non ha dubbi. La componente fisica «è il mezzo della nostra comunicazione sia con il tempo che con lo spazio», dunque «riprendendo […] contatto con il corpo e con il mondo, ritroveremo anche noi stessi».
Grazie alle pratiche messe a disposizione dalla riflessione filosofica è possibile coltivare l’attitudine del “sentir-si”, risvegliando il corpo: nostro «io naturale».
Per contatti e appuntamenti scrivi a info@eudaimoniastudio.it
O visita il sito www.eudaimoniastudio.it